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Come il romagnolo tratta i detti, i proverbi e i modi di dire

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Ultimo aggiornamento:

La Romagna è un posto dove la gente è industriosa ed operosa come un favo pieno di api. Quindi buzz buzz buzz, il lavoro ci ha rapito un pochino in questi ultimi giorni, ma almeno – da brave api – oggi mangiamo il miele assieme.
Il “miele”, il post di oggi, è un qualcosa su cui ragionavo un po’. Il romagnolo alle volte può sembrare un po’ saccente, ma bisogna considerare che lui è il succo del succo del succo della conoscenza popolare dai trisnonni in giù, e quando parla è come se lo stesse facendo un coro di avi, una processione lunga un paio di secoli.
Ovviamente a questo ci aggiunge il suo sarcasmo, e il fatto di essere un invornito, ma a questo ci arriviamo tra poco. Vediamo come il Romagnolo tratta i vari argomenti, tra detti, proverbi e modi di dire.

Se la Cesira e l’Angelina parlan tra di loro del meteo, il fatto che “non ci sono più mezze giornate” e “che freddo che fa” saranno utilizzate solo proprio quando non sapran che dirsi, e lasceranno queste cose poco pittoresche alle forestiere che attaccan bottone. Al contrario, tra le conoscenze condivise, i pilastri della loro sapienza ci sarà che “Setémbar e utòbar cun dal béli zurnèdi, l’è temp ad fè dal scampagnèdi”, ad indicare un autunno mite ed un tempo che tiene senza dubbi.

Ma anche che “La neva marzulèna la fa la sera e va via la matèna”, ad indicare che non bisogna fare i maroni se nevica a marzo che tanto poi non dura. E per ricordarci che le giornate si allungano, “Sant’Antòni un’ora bòna” perchè effettivamente il 17 gennaio le ore di luce son già aumentate. Senza poi considerare che “Avril, ogni dè un barìl” e “Maz, ogni dè un tinàz” ci danno la misura di quanto piove in quei due mesi, o di quanto si sono fatte i maroni la Cesira e l’Angelina che vogliono stendere i panni fuori sfruttando i primi soli caldi.

Al romagnolo piace tanto parlare dei soldi. L’argomento dei “bajòcc” lo potrete trovare all’angolo di ogni strada, ed ogni businessman che si rispetti, anche quelli nati alla Fratta Terme, dovranno affrontare i loro problemi di management del baghino: problemi a farsi approvare il budget? Per forza, “i bajòcc j’è cma i dulur, ch’j à i si tén” (i soldi sono come i dolori, chi li ha se li tiene). Problemi con un dipendente? Motiviamolo con un aumento, che “i bajòcc i fa andé l’acqua d’in sò” (i soldi mandano l’acqua in su).

Ci sono difficoltà imprenditoriali? Per forza, “s’am met a fè e caplèr, la zenta la nass senza testa” (se mi metto a fare il cappellaio, la gente nasce senza testa). Un’azienda concorrente sta mangiandovi quote di mercato? Ma boia vigliacca, per forza, finchè “U j è chi ch’mâgna par campê e chi ch’mâgna par s-ciupê” (c’è chi mangia per campare e chi per scoppiare). Ovviamente va da sè che “Bon temp, salut e bajòcc i n’ stofa mai”. Giusto.

Il romagnolo è una persona aperta, che tende a relazionarsi con il prossimo in modo molto aperto, delle volte quasi sfrontato. Non è raro che gli amici si apostrofino con modi di dire tipo “T’e una tèsta cm’e dù ad còppi!” (sei stupido), “T’ci fòrt cm’a l’aséda!” (sei forte “come l’aceto”), “T’ci e mej d’la cuvèda d’i baghìn malé!” (sei il meno peggio). Il detto “T’è una testa cm’a la mazòla” fa riferimento alla mazzola, noto pesce dalla testa grossa, e può essere usato con sarcasmo o sincera approvazione (oppure c’hai proprio la testa grossa e lì son sfighe).

E poi noi non diciamo una cosa politically correct tipo “hai dato del tuo meglio”, no. Noi ci domandiamo retoricamente: “sa vùt, che un néspul e fàza i figh?”. Noi non diciamo che un ragazzo è duro di comprendonio, noi andiamo diretti sulla certezza che “t’fé prèma a mettjal in t’e cul che in t’la tèsta”. Oppallà, bonjour finesse. E prova a vestirti un po’ trasandato, un po’ stile grunge anni ’90. “T’am pé e fiol d’e pori sugamèn”. Mi sembri il figlio del povero asciugamano. Questa è epica.

Il romagnolo si distingue anche nella filosofia spicciola, in cui è un microcosmo di aforismi che farebbe impallidire le frasi di Fabio Volo e Paulo Coelho (che infatti han rotto un po’ i coelhoni). Vai col valzer! “L’acqua la fa mèl, e vèn e fà canté” o anche “L’acqua la fà la rèzna”, non per niente siamo nella terra del sangiovese.
S’in sbaglièss neca i sapìnt, un‘i sarèb piò pòst par ij ignurìnt”. Come dargli torto?
Un basta avé rasòn, bsògna ch’it la dàga”. Non basta aver ragione, bisogna che te la diano. Vallo a spiegare te in una discussione al bar per un marafone!
“La brasùla‘d ch’ìtar la pé sèmpar piò granda”. Molto più pittoresco della storia dell’erba del vicino.
Tri quel ji è bel da znìn: e sumàr, e porc e e cuntadèn”. Belli, insomma. Un tipo.

E nel dubbio ricordate. Pida, parsòt, figa par tòt.

(il Nero)

Articolo tratto dal gruppo Facebook “Sa fet a qué?”