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Il brodo in Romagna si fa in 1000 modi ma è una gran bontà

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Ultimo aggiornamento:

Cosa abbia spinto l’essere umano a buttar dei pezzi di carne buona nell’acqua bollente non me lo spiego. Voglio dire, la ciccia è sempre stata scarsa e ad appannaggio di quelli che c’avevano due soldini da parte. Forse sarà stato per sbaglio. Forse…

“Cesira boia del singolare! Dov’è finito quel pezzo di tigre dai denti a ‘siabola’ che avevo conservato l’altro giorno!?!?”
“Ohi di’ Orberto” (i nomi romagnoli son qualcosa di cui prima o poi parleremo) “mi sa che mi è sguillato nell’acqua della zuppa intanto che ci stavo cavando la pelle!”
“Cesira sei utile come un culo senza il buco! E adesso cosa mangiamo? Non e’ che posso andare a cacciare armadilli nella foresta pluviale tutti i giorni, e mangiare le felci mi fa i maroni!”
In quel momento, il profumo arrivò alle narici della coppia primitiva.
“Scolta, Orby, sei poi sicuro che non si possa mangiare più? Me mi pare che c’abbia un buon profumo”.
“Os-cia.” disse Orberto scoperchiando. “Qui ci starebbero bene due passatelli.”
“Due cosa?”
“Non lo so, ma suonava bene”.

In realtà non sapremo mai come è nato il brodo, ma sappiamo come si fa. Si gettano verdure a caso e pezzi di carne a caso nell’acqua, si fa bollire finchè tutti gli sborismi della carne fan la schiuma in superficie e si tira via con strumenti di fortuna quali ramine, cucchiai, schiaccianoci, suocere o smartphones. Perche’ dico questo?
Mo avete provato a chiedere a un romagnolo come lo fa il brodo?
Sembra che veniamo da pianeti diversi. C’è chi ci mette il muscolo. Chi il doppione. Chi il “cappello del prete”. Chi l’osso del ginocchio. Chi l’osso col midollo. Chi la gallina, chi il pollo, chi niente. Chi una qualunque combinazione di queste carni e ossa. E le verdure? La patata sì la patata no. Il sedano sì il sedano no. Il pomodoro sì il pomodoro no. La cipolla sì la cipolla no. La carota sì la carota no. Due maroni che non li risollevi neanche se li metti in ammollo nello zabajone.

Insomma, fatelo come la vostra tradizione famigliare prevede. Ma vedete di non fare i seguenti errori.

errore numero 1) buttar via la carne/le verdure utilizzate. Ecco, mi ricordo ancora una volta che vado dal macellaio con mia mamma, ero un bimbetto, e sento una signora tutta tronfia che dice “mi dà un pezzo di muscolo da fare il brodo, anche brutto, che poi dopo tanto lo butto”. Io guardo mia mamma, lei guarda me. Quattro occhi sbarrati che si osservano atterriti. Ma perchè mamma, c’è gente che non mangia il lesso? E mia mamma, che Dio la benedica: “c’è anche gente che ci piace farsi dare nel fiocco, me par me con il suo posson fare quello che vogliono. Mo a me sembra uno schiaffo alla miseria!”.
E c’aveva ragione. Intanto, è buono. Sì, non sono pezzi di ciccia di alta qualità. Il doppione è sempre un po’ fibroso. Il muscolo un po’ sguigno. Il cappello del prete stopposo. Ma è roba buona, boja d’e caz, si potrà buttar via? E poi i miei me l’han sempre “truccato”: freddo con la maionese o la salsa verde romagnola, caldo con contorno di sottaceti (autocostruiti in casa, no quelle pugnette di giardiniera del Gonad che sa di fieno!), rifatto in padella con la cipolla, rifatto a mò di umido col pomodoro eccetera. Chi butta via il lesso dovrebbe essere appeso per gli alluci a un baobab in Biafra!

errore numero 2) bere il consommé. Allora, il brodo è buono, sì. Ma bere il consommé – ovvero il brodo lisssio senza niente dentro – lo lasciamo poi ai francesi, che a loro ci piace la roba della nouvelle cuisine e tot c’al pugnétti, e lo lasciamo a chi c’ha un fastidio allo stomaco. Io nel brodo ci voglio della roba dentro. Possibilmente della roba autoctona, e in quantità imbarazzanti. E questo porta al tipico

errore numero 3) dare a un romagnolo le stelline. O i risini. O i ditalini. O i quadrucci, o i grattini.
Seriamente: andate a fare delle pugnette. Il romagnolo non scoperchia neanche il tegame se non ci sono otto uova di cappelletti che lo aspettano. E se non ci sono quattro palle da chilo di impasto per i passatelli, nemmeno scende dal letto. E delle belle pappardelle fatte in casa? E dei bei tagliolini fatti su come si deve? Le stelline, i risini, i ditalini, i quadrucci stan bene alla clinica della Santa Cunegonda Sdentata protettrice dei pre-morti. (I grattini, se sono fatti a mano, all’uovo e con un po’ di noce moscata e buccia del limone, uehi ci si può anche consolare).
Io personalmente io, me “il Nero”, dentro al brodo che vorrei ci sono cappelletti grandi come dischi volanti di Roswell, guidati da alieni fatti col formaggio davanti ad una strumentazione fatta con la mortadella. Ci voglio passatelli grandi come anaconda, compreso il cadavere di Bear Grylls che ha provato di darci un morso ma se lo sono pappato. Le pappardelle devono essere larghe come una foresta di mangrovie. I tagliolini fini e incasinati come i capelli della mia amata in un giorno di vento.

Questo è il brodo della Romagna!
E non fatemi fare battute scontate sui ditalini, valà. Che poi passo per invornito.

(il Nero)

Articolo pubblicato sulla pagina Facebook “Sa fet a què”