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Igor il russo

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Sì, questo racconto di Igor il russo (che poi è Ezechiele il serbo, che poi è Norbert, di dove cavolo gli pare, che poi chi lo sa per davvero, a ‘sto punto) che vivacchia serenamente fra Bologna e Ferrara, nutrendosi di frutta sottratta dai campi qua e là e di galline prelevate e sgozzate a caso, piace moltissimo. Trovo che l’aggettivo giusto sia ‘pittoresco’.
Naturale, nessuno in Emilia-Romagna potrebbe campare dieci giorni senza saccheggiare almeno una piantagione di albicocche e senza tirare il collo a una manciata di polli, rigorosamente da abbrustolire poi con cura su un fuocherello di sterpaglie raccolte dal bosco e acceso con due pietre sfregate insieme.

E poi il fatto che di notte dorme sicuramente, ovviamente dentro ai canali di scolo fognario mi pare una trovata a dir poco grandiosa, degna di un Dostoevskij o di un Victor Hugo della bassa padana. Questa, bisogna dirlo una volta per tutte in maniera chiara, è la classica vita che facciamo da queste parti, fotografata ammirevolmente da una stampa sempre sul pezzo, al passo con i tempi tanto da apparire profetica, capace di affreschi sociali di una precisione e di un dettaglio chirurgici.

E bisogna poi tacere del fatto che “indubbiamente ha dei complici perché usa dei cerotti e nessun farmacista della zona ha dichiarato di averlo avuto recentemente come cliente: ciò significa che i cerotti glieli ha comprati qualcun altro”, come se non si potessero comprare dovunque, supermercati inclusi. Per me è Pulitzer, ma da attribuire con retroattività al 1897.