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La passione per il ballo dei romagnoli

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Scrisse il professor Guglielmo Ferrero (1871-1943), docente di psichiatria all’Università di Torino, uno dei principali maestri del pensiero positivista, in un saggio del 1893 che fece molto scalpore: «La Romagna è in Europa uno degli ultimi esemplari di società a tipo di violenza… poiché la violenza è il primo periodo di una civiltà è naturale che in Romagna la società e l’uomo abbiamo molto di primitivo… le maniere dei romagnoli sono sempre un po’ brutali, e anche quando vogliono essere gentili sembrano le carezze di una tigre… la grande virtù dell’uomo in Romagna è il coraggio personale: nessuna ingiuria suona più atroce di quella di vigliacco… i fermenti e le uccisioni per legittima difesa, gli accoltellamenti per eccessi di difesa sono molto frequenti… così vanno tutti armati, a dispetto delle leggi, hanno una specie di tenerezza per i loro fucili e revolvers… senza armi un buon romagnolo non si sente interamente vestito e interamente uomo».

Nel medesimo saggio, il professor Ferrero descrive di aver assistito personalmente a una serata danzante a Cesena. Siamo negli anni in cui i balli di coppia, allora definiti i balli “stretti” perché richiedono un forte abbraccio tra i ballerini per il continuo volteggiare, soppiantano quelli tradizionali di gruppo, come la monferrina, la furlana, la gagliarda, la galletta, la roncastella, il ballo del sospiro, del fiasco, dello schioppo, della lepre, degli sposi e così via. Si impongono i valzer, le polche, le mazurche, senza rimpianto alcuno, anzi.
Guglielmo Ferrero dovette restare molto impressionato da quello che vide quella lontana sera in Romagna e così lo descrisse: «Ricordo ancora, come uno degli spettacoli più curiosi e stravaganti a cui io abbia assistito nella mia vita, un ballo in gran lusso dato a Cesena. I fieri romagnoli si erano vestiti quella sera come i dandy più eleganti; gli uomini in frak, le donne in toilette da ballo; ma – ahimè – sotto il frak e i merletti rimaneva pur sempre il romagnolo.

E se si fossero potute vuotare le tasche delle giacche, credete voi che ne sarebbero usciti carnet da ballo o boccette di odore, o pacchi di confetti? Ne sarebbe uscito fuori un arsenale di pistole, di coltelli, di revolvers; giacché quasi tutti erano andati al ballo armati sino ai denti, come avessero mosso a una spedizione. Fuori il damerino, sotto il romagnolo… Il ballo poi, tutto insieme, sembrava una ridda. I ballerini abbrancavano le ballerine come avessero voluto rapirle per forza; stringendole forte al petto, abbracciandole, sbattendole qua e là rudemente, colla faccia in fiamme: non erano quei bastoni vestiti di nero e di bianco, che danzano nei nostri saloni (quelli di Torino, ndr), freddi e insensibili al contatto dei corpi – triste spettacolo della nostra ipocrisia sessuale! – ma maschi sani e robusti, eccitati dal contatto di quelle carni fiorenti e solide di donne… una conversazione tempestosa tumultuava da per tutto, piena di risate esplodenti, di frasi gridate, di donne, che si voltavano arrossendo a rispondere con franche risate… Si sentiva la linfa della vita animale rigoglire e scaldarsi per i corpi di tutti quegli uomini e quelle donne, a cui gli abiti dovevano bruciare sulle membra».

E se «gli abiti bruciavano sulle membra», il ballo di coppia poteva essere tollerato a quei tempi dalla Chiesa? Certamente no. Si registrò infatti una vera e propria crociata contro il ballo che permetteva ai ballerini di abbracciare le ballerine «come avessero voluto rapirle stringendole forte sul petto». In una circolare dell’epoca dell’Azione Cattolica si può leggere: «Essendo ormai dolorosamente constatato che i balli moderni sono quasi sempre sorgente di corruzione e costituiscono un pericolo gravissimo per la modestia, la verecondia e la purezza, non solo restano severamente proibiti a tutti i soci dell’Azione Cattolica, ma debbono, ordinariamente considerarsi da ogni cristiano come occasione prossima di peccato… A manifestare pertanto la loro riprovazione per la danzomania i parroci nella benedizione delle case si asterranno dal benedire le sale abitualmente adibite per balli».
Ci fu un parroco che dal pulpito durante una predica così inveì contro la “danzomania”: «Non ballate perché è un peccato capitale. I giovani che balleranno addiverranno sordi, le ragazze cieche, i genitori infermi ed i proprietari che permetteranno nelle loro case si balli, avranno un morto in famiglia».
L’opposizione della Chiesa non sortì però l’effetto sperato, anche se dovettero passare diversi decenni prima che il ballo (che diverrà un vero e proprio rito collettivo che non conosce soste e divieti) fosse accettato nelle feste organizzate dalle parrocchie.

La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli