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Anniversario della morte di Raniero Paulucci di Calboli

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Ultimo aggiornamento:

Mecenate e ambasciatore, il marchese Raniero Paulucci Di Calboli, figlio di Annibale e dell’inglese Mary Ann Simpkinson de Wesselow, nacque a Roma il 15 marzo 1861, due giorni prima che Vittorio Emanuele II proclamasse ufficialmente la nascita del Regno d’Italia, assumendone il titolo di re per sé e per i suoi successori.
Protagonista della storia cittadina e di quella nazionale, Raniero studiò Giurisprudenza a Roma e a Bologna e si laureò nel 1882. Nel 1885 intraprese la carriera diplomatica, lavorando presso le ambasciate italiane a Londra e a Vienna. Ebbe così la possibilità di conoscere l’ambasciatore Giuseppe Tornielli Brusati di Vergano, entrando il tale confidenza con lui e la sua famiglia da sposarne la nipote Virginia Lazzari Tornielli. Giunse poi a Parigi in qualità di segretario di legazione, insieme al Tornielli che nel frattempo era stato nominato ambasciatore italiano in Francia. Qui ebbe modo di seguire l’Affaire Dreyfus e, convintosi dell’innocenza dell’ufficiale incriminato, raccolse una vasta quantità di materiale, oggi conservato presso la Biblioteca Civica di Forlì.

In seguito all’esperienza parigina Raniero divenne ambasciatore a Lisbona (1908) e a Berna (1912). La Prima Guerra mondiale colpì poi pesantemente l’aristocratica famiglia forlivese dei Paulucci di Calboli che tra il 1917 e il 1919 fu scossa dal calvario e dalla morte di Fulcieri. Nel 1921 Raniero Paulucci rientrò in Italia dopo essere stato per circa due anni ambasciatore a Tokio. Fu allora che si dedicò al riassetto del palazzo di famiglia, sito in via Piero Maroncelli 19 a Forlì. Nelle sue intenzioni doveva diventare “La casa Fulcieri”. Ettore Casadei nella sua Guida di Forlì e dintorni, edita nel 1928, ce ne fornisce un’accurata e approfondita descrizione.
Dalla moglie Raniero ebbe due figli: Fulcieri, morto nel 1919 senza lasciare eredi, e Camilla, la quale sposò Giacomo Barone Russo che, per tenere vivo il cognome di una delle più antiche famiglie nobiliari italiane, assunse poi il cognome Paulucci di Calboli.
Nel 1922, quando Mussolini salì al potere Raniero venne nominato senatore del Regno e ambasciatore d’Italia a Madrid. In seguito alle nozze tra Camilla e Giacomo Barone, capo di gabinetto del Duce, il palazzo di via Maroncelli acquisì ulteriore prestigio tanto che, nel 1923, ospitò Benito Mussolini in persona e nel 1924 accolse nelle sue stanze il principe ereditario Umberto di Savoia.

L’arrivo di un fiocco azzurro in casa Paulucci portò Raniero a riscrivere il testamento che aveva redatto quattro anni prima in modo da “lasciare la casa di Forlì al nipote e di donare alla città un capitale di trecentomila lire italiane perché la rendita di questa somma sia distribuita ai figli e discendenti dei mutilati e feriti di guerra”, in memoria del figlio Fulcieri.
Mentre la casa di via Maroncelli restava di proprietà della famiglia, la cospicua eredità destinata alla città rappresentava circa un terzo dei beni mobili dei Paulucci. Raniero decise poi di acquistare dallo scultore Adolfo Wildt il busto di Fulcieri da porre al centro della casa di Forlì, nonché di acquistare e di commissionare altre sculture allo stesso artista.
Nel 1928 terminarono i lavori di sistemazione del palazzo, in particolare furono ultimati gli affreschi del pittore riminese Gino Ravaioli, tuttora visibili nell’ampio locale un tempo destinato a biblioteca.
Appena tre anni dopo, il 12 febbraio 1931, in seguito a una breve malattia, Raniero morì a Roma. Il suo corpo fu portato a Forlì e sepolto nel Pantheon del Cimitero Monumentale, vicino alle spoglie dell’amato figlio Fulcieri.

Considerato il tributo reso dai Forlivesi allo scomparso Raniero e la decisione di intitolare a Fulcieri il locale Liceo Scientifico, gli eredi offrirono la bella somma di ventimila lire da elargire a istituti di beneficenza. Nel frattempo a Mario Fabbri, podestà di Forlì, venne comunicato il contenuto delle disposizioni testamentarie con l’aggiunta della donazione alla città delle sette opere dello scultore milanese Wildt, oggi in mostra a Palazzo Romagnoli.
Successivamente tutti gli oggetti d’arte contenuti in casa Paulucci di Calboli e le sculture di Wildt furono raccolti in un’unica sala, inaugurata l’11 ottobre 1931 presso gli Istituti Culturali. Negli anni ’60 del secolo scorso, la collezione Paulucci di Calboli venne poi trasferita a Palazzo Gaddi.

Con il naso all’insù di Marco Viroli e Gabriele Zelli (tratto da “Forlì. Guida alla città” di Marco Viroli e Gabriele Zelli, Diogene Books, Forlì 2012-2013). Attraversando via Maroncelli, al numero 19, racchiusa tra le vie Gaddi e Placucci, si innalza la grande facciata di Palazzo Paulucci di Calboli dall’Aste. L’edificio originario è databile intorno alla metà del Settecento, ma nulla a oggi si sa riguardo a chi l’abbia progettato.
L’intero complesso, risultato dell’accorpamento in epoche diverse di più corpi di fabbrica, si estende su una superficie di 1.600 metri quadrati. Appartenne ai conti dall’Aste fino all’estinzione del casato, quindi al marchese Raniero Paulucci di Calboli, protagonista della storia cittadina e di quella nazionale.
La facciata di Palazzo Paulucci di Calboli dall’Aste è estremamente sobria e presenta un mirabile equilibrio delle proporzioni con alcune curiosità: il numero 13 conservato da una precedente numerazione e il balcone esterno in ferro battuto, trasportato nel 1911 da Forlimpopoli, ove ornava Palazzo Ginanni.

Sulla lapide, posta alla destra del portone d’entrata, vi è incisa la seguente citazione dantesca:
QUESTI È RINIER; QUESTI È ‘L PREGIO E L’ONORE / DE LA CASA DA CALBOLI, OVE NULLO / FATTO S’È REDA POI DEL SUO VALORE. / E NON PUR LO SUO SANGUE È FATTO BRULLO, / TRA ‘L PO E ‘L MONTE E LA MARINA E ‘L RENO, / DEL BEN RICHIESTO AL VERO E AL TRASTULLO; / CHÉ DENTRO A QUESTI TERMINI È RIPIENO / DI VENENOSI STERPI, SÌ CHE TARDI / PER COLTIVARE OMAI VERREBBER MENO (PURGATORIO XIV, 88-96)
Questi versi non solo sono significativi in quanto ricordano la figura di Riniero Paulucci, capostipite della famiglia forlivese ed esempio di onore, ma anche perché al tempo stesso fissano quelli che secondo Dante Alighieri e i suoi contemporanei erano gli ampi confini della Romagna (“tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno”).

All’interno del palazzo, molto interessanti risultano essere l’androne principale e gli ambienti della parte centrale dell’edificio, dove sono presenti ancora oggi tracce della ricchezza e del fasto passati: capitelli, cornici e stucchi, alcuni dei quali realizzati al tempo della costruzione dell’edificio. Alcuni soffitti a volta del piano terra e del primo piano sono invece dipinti a somiglianza di decorazioni di Felice Giani. Ma la ricchezza del palazzo consisteva soprattutto nella sontuosità degli arredi e delle collezioni di opere d’arte raccolte dal marchese Raniero. Come già accennato, le pareti della biblioteca – che accoglieva entro scaffalature in legno tuttora visibili, varie migliaia di preziosi volumi e manoscritti – furono decorate dal pittore riminese Gino Ravaioli. In particolare in quella centrale vi furono dipinte La Fede, Le Scienze, Le Lettere e Le Arti, raffigurate da personaggi illustri di ogni epoca, mentre, entro quattro grandi riquadri, Ravaioli rappresentò altrettanti episodi della storia della famiglia Paulucci di Calboli. Tra le tante meraviglie ospitate all’interno dell’edificio trovava posto anche uno splendido camino attribuito niente meno che alla bottega del Canova.
Ancora oggi degno di nota è lo splendido imponente cancello interno in ferro battuto che separa l’androne dal cortile del palazzo. Quest’ultimo è ornato al centro da un pozzo di gusto neorinascimentale, realizzato su progetto dell’architetto romano Florestano Di Fausto, successivamente molto attivo nella costruzione della nuova Predappio, ove disegnò diversi edifici tuttora esistenti.
Nel palazzo ebbe sede la Società Filodrammatica del Talentoni, sorta nel 1876 e attiva fino al 1894. Durante questo periodo operò all’interno dell’edificio il decoratore Annibale Marabini che affrescò diverse stanze, nonché numerosi scenari per il teatro.

La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli