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La Rocca Albornoz e gli Ordelaffi

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Ultimo aggiornamento:

A metà strada fra Cesena e Forlì, percorrendo la via Emilia, si incontra Forlimpopoli e, se si attraversa il centro abitato, non si può non notare la storica rocca fatta costruire dal cardinale Gil Alvarez de Albornoz nel 1360. Non fu però un generoso omaggio del Legato pontificio inviato nella Romagna da Papa Innocenzo VI, ancora relegato ad Avignone, ma la tangibile testimonianza del grande rigore col quale il sommo prelato aveva punito la resistenza degli abitanti di Forlimpopoli. Albornoz infatti aveva lasciato Avignone con un preciso mandato, quello di ricostituire il potere della Chiesa nei territori occupati da diversi signori locali che si erano sostituiti all’ormai troppo lontano Pontefice.

Questo cardinale, di origine spagnola, quale Legato pontificio e Vicario generale, con pieni poteri, alla testa di un esercito mercenario discese in Italia deciso a rimettere ordine, con la diplomazia o con le armi, trattando con i signori più arrendevoli e facendo guerra a chi si opponeva.
Francesco II Ordelaffi, signore di Forlì, di Forlimpopoli e di altri territori romagnoli si oppose al volere papale, alleandosi coi Malatesta di Rimini, suoi tradizionali nemici, cercando di conservare il potere ed i territori arbitrariamente acquisiti.

I primi a cedere, però, furono i Malatesta che, sopraffatti dall’esercito papale guidato da Rodolfo da Varano, ritennero più opportuno stipulare un trattato di pace alleandosi poi con le truppe pontificie, prontamente e saggiamente imitati dai Montefeltro e da altri signori di Romagna.
Non altrettanto saggi e prudenti furono gli Ordelaffi che sfidarono addirittura la Crociata contro i forlivese bandita dal Papa, pur essendo stati abbandonati da tutti gli alleati.
Dopo alterne vicende che sarebbe lungo raccontare, dopo la conquista di Cesena e Bertinoro, da parte dell’Albornoz, Francesco II Ordelaffi, ancora signore di Forlì, il 4 luglio 1359 si arrese al cardinale che prese possesso di Forlì, città ghibellina per tradizione, insediandosi nel palazzo comunale.

Una sorte, se possibile, meno fortunata ebbe Forlimpopoli che cercò di resistere ad un lungo assedio ma fu poi costretta a capitolare. La punizione fu severa. Si parla addirittura di una distruzione quasi totale della città con saccheggi ed uccisioni dei cittadini, anche se altre fonti meno catastrofiche tendono a ridimensionare i danni, circoscrivendoli all’area della Cattedrale e del palazzo vescovile. I documenti dell’epoca non forniscono risposte certe.
Quello che è certo è che dove sorgevano la Chiesa Cattedrale ed il palazzo vescovile venne costruita la nuova rocca, per ordine del cardinale Albornoz, utilizzando per la costruzione il materiale ricavato dalla demolizione di tali edifici e delle precedenti fortificazioni erette dagli Ordelaffi a protezione della città.

La costruzione inizia nel 1360 e si conclude nel 1365 e pochi anni dopo, nella “Descriptio provinciæ Romandiolæ”, viene indicata come rocca Salvaterra, nome che verrà spesso usato, per un certo periodo, in alternativa al nome di Forlimpopoli.
La struttura di questa prima fortezza è relativamente semplice, a forma di quadrilatero con quattro torrioni quadrati ai quattro vertici, con una solida torre di osservazione sul lato affacciato verso la via Emilia e che proteggeva gli ingressi dotati di ponti levatoi che permettevano di superare l’ampio fossato. L’ingresso era poi protetto, all’esterno, da un solido rivellino ora completamente scomparso.

Al centro del cortile sorgeva una torre quadrata, il mastio, anche questo completamente scomparso, perché usato, nei secoli successivi, come comoda cava di materiale.
Terminata questa fase bellicosa, ripristinato il potere della Chiesa su tutti i territori, dal Lazio alla irrequieta Romagna, il saggio cardinale ritenne che fosse opportuno sfruttare l’esperienza dell’Ordelaffi e gli concesse di governare quanto era rimasto di Forlimpopoli col titolo di Vicario pontificio.
La rocca di Forlimpopoli entrò infine a far parte, nella metà del XIV secolo, di una catena di fortificazioni, alcune delle quali costruite ex novo, che dal Lazio giungeva in Romagna, asse portante e simbolo tangibile del potere della Chiesa, non più solo affidato ad un abile cardinale ma a tanti armati distribuiti nelle rocche e pronti ad intervenire per ricondurre all’ordine qualche signore troppo intraprendente.

Il compito era stato pienamente assolto ed il cardinale Albornoz potè tornare ad Avignone dove, alla morte di Papa Innocenzo VI, rifiutò la nomina a Pontefice che gli veniva offerta, preferendo continuare la sua opera di “gendarme papale”.
Gli Ordelaffi, ai quali Forlimpopoli era stata affidata, cominciarono gradualmente a ricostruire la città, le fortificazioni ed a ristrutturare la rocca, adeguandola alle forti innovazioni introdotte con le armi da fuoco ed in particolare con le artiglierie. Gli alti torrioni quadrati non erano più adeguati ai nuovi tempi e furono trasformati in torrioni più bassi, di forma circolare per deviare i colpi delle artiglierie e con murature molto più spesse. Le mura furono irrobustite e dotate alla base, come i torrioni, di una superficie obliqua chiamata scarpa, col solito intento di deviare i proiettili sparati dai cannoni.

Gradualmente, grazie a Pino III Ordelaffi, a partire dal 1471 e poi da Caterina Sforza la rocca acquisì la forma solida ed elegante che, in gran parte, possiamo vedere tuttora.
Con la caduta di Caterina Sforza, Forlimpopoli e la sua rocca passarono sotto il dominio di Cesare Borgia, il Valentino, altro anomalo cardinale guerriero della famiglia Borgia, le cui fortune però si dissolsero con la morte di Alessandro VI Borgia.
Con Giulio II, il Papa guerriero legato al nome di Michelangelo e della Sistina, Forlimpopoli passò sotto il diretto dominio pontificio e la gestione della rocca fu affidata ad esperti Castellani nominati da Roma.

Seguendo lo stesso criterio centralista Papa Paolo III, nel 1535, concesse il feudo di Forlimpopoli agli Zampeschi che lo ressero fino a quando non si estinse la loro stirpe, per mancanza di eredi. Le tombe monumentali degli Zampeschi fanno bella mostra di sé nella facciata, sotto il porticato, della Chiesa di San Rufillo, dedicata al primo vescovo di Forlimpopoli, contemporaneo a San Mercuriale, entrambi co-patroni della Diocesi di Forlì-Bertinoro.
Altri personaggi, più o meno importanti, ressero il governo di Forlimpopoli fino all’arrivo di Napoleone, alla caduta del quale tutto ritornò sotto il diretto governo pontificio.

Parlando della rocca e del teatro in essa realizzato all’inizio dell’ottocento (quando anche la sede del municipio fu trasferita nella rocca) non si può non parlare di un episodio avvenuto nel 1851, quando il famoso e leggendario Stefano Pelloni, (soprannominato il Passatore) con la sua banda occupò il teatro, e di fatto la città, costringendo gli uomini a versare una somma da lui stabilita che ognuno andò a ritirare nella propria abitazione con la vigile scorta di alcuni componenti della banda. In tale vicenda fu tragicamente coinvolto anche Pellegrino Artusi, famoso gastronomo e scrittore, la cui sorella subì un gravissimo ed irreversibile trauma psicologico.

Esaurita ormai da tempo la sua funzione difensiva, la rocca decadde lentamente e inesorabilmente a causa anche di interventi estemporanei e disorganici.
Per riportarla agli antichi splendori furono necessari importanti e complessi lavori di restauro essendo stata adibita, nel tempo, agli usi più diversi: abitazione popolare, negozi, teatro (poi trasformato in cinema), per non parlare del saccheggio sistematico di mattoni (con la demolizione di intere strutture architettoniche come il Mastio centrale) utilizzati per costruire nuovi edifici, alcuni dei quali addossati addirittura agli eleganti torrioni.
Un ruolo importante in quest’opera di restauro fu svolto da Tobia Aldini, al quale si deve anche la creazione del ricco museo archeologico dislocato nella Rocca.

Oggi la rocca è ritornata allo splendore dei tempi migliori, anche se privata di alcune strutture come il mastio ormai irrecuperabile. È un’opera bella, esteticamente gradevole e completamente fruibile, ottimamente illuminata di notte lungo l’intero perimetro con apparati luminosi collocati nelle caditoie che creano, di notte, un effetto suggestivo e ne fanno un punto di riferimento importante nel centro urbano di Forlimpopoli.
È sicuramente l’emergenza monumentale più bella e storicamente importante anche grazie alla collocazione sulla piazza principale e poco lontana dalla via Emilia dalla quale è perfettamente visibile.

Umberto Giordano