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El Derby de la Ikurriña: il popolo Basco e l’identità ritrovata

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Ultimo aggiornamento:

5 dicembre 1976, una data eretica, una data che rimarrà impressa nella memoria del Popolo Basco. Calcio Eretico ha il piacere di narrare ancora una volta, come il calcio abbia una potenza sociale mal calibrata e mal veicolata, la quale è in grado di avere gli strumenti necessari per mobilitare e rivendicare. Nello specifico caso i “Fueros”, un insieme di leggi e consuetudini che da sempre hanno regolato e tenuto in vita un’identità ed un’autonomia che il regime franchista aveva portato via, assieme all’Ikurriña, la bandiera dai colori bianco-rosso-verdi, simbolo di appartenenza basca.

Quella del Popolo Basco è una storia affascinante e avvolta da un alone di mistero. La storia del loro insediamento non è ancor oggi chiara, e non priva di accezioni mitologiche. Dai monti Cantabrici fino a Bordeaux nell’Aquitania francese circondando l’area dei Pirenei, chiamateli autoctoni o nazionalisti, loro risponderanno essere Euskal Herria, ossia coloro che parlano l’Euskera, l’idioma basco, la lingua che non ha origini indio-europee ed è anche la più longeva parlata in Europa. Il loro attaccamento, per certi versi morboso, alla loro cultura più che al territorio crea un legame sanguigno con la propria identità, di abitante degli Euskadi (il territorio dei Paesi Baschi) legittimato dal fatto che rispetto alla media di qualsiasi altra popolazione, il gruppo sanguigno rh negativo è diffusissimo e caratteristico in un basco.

Per comprendere meglio quello che è accaduto il 5 dicembre 1976 allo stadio Atocha di San Sebastiàn è doveroso e imprescindibile fare un excursus storico sulla situazione politica di quegli anni. Sono anni durissimi per la Spagna, il regime fascista di Francisco Franco sembra essere avviato ad un processo di democratizzazione con la sua morte nel 1975, ma gli strascichi e le repressioni del regime franchista nei confronti dei baschi fanno fatica ad essere dimenticate e l’ombra dell’ETA, incombe su tutta la Spagna.

Per quattro decadi, dagli anni ’30 agli ’70 fu attuata una repressione violenta contro ogni simbolo e ogni manifestazione di identità basca, dalle bandiere alla lingua, privando di fatto un popolo che da sempre si sente estraneo sul proprio territorio, spagnolo soltanto sulla carta. Tutto quello che accadde in quegli anni ha contribuito a inasprire i rapporti con il potere centrale castigliano, anche nei giorni odierni contrario all’indipendentismo, con una forma di repressione più “democratica”, ma che pur sempre di repressione si tratta.

Quegli anni portarono alla nascita dell’Euskadi Ta Askatasuna, ai più meglio conosciuta come l’ETA, l’organizzazione armata indipendentista basca, formata da un gruppo di studenti, che inizialmente e durante il regime di Franco si atteneva ad essere più che altro un movimento operaio, ma che aveva all’interno anche una matrice violenta e insurrezionalista, che con la morte del generale ebbe modo di operare, compiendo l’omicidio del successore al regime di Franco, Luis Carrero Blanco.

L’ETA ha dichiarato il suo scioglimento ufficiale soltanto nel 2011 e nel mentre ha continuato ad uccidere, gridando vendetta nel modo più crudele, creando non poche controversie sulla questione basca. Bisogna infatti precisare che questa era una frangia estremista, da cui la maggior parte della popolazione basca si è dissociata per le sue azioni terroristiche. Perchè un basco è separatista, ma non dalla realtà, ecco perchè si tratta di una rivendicazione più che legittima, a differenza dei tanti casi di nazionalismo che la storia ci racconta e che tutt’oggi continuano ad essere espressioni ingiustificate di patriottismo.

5 dicembre 1976

Estadio Atocha di San Sebastian, va in scena “El derby Vasco” tra Athletic Bilbao e Real Sociedad, quello che da quel giorno in poi verrà ricordato come “El Derby de la Ikurriña”, il derby della bandiera. Le due squadre sono composte interamente da giocatori baschi, tradizione che la squadra bilbaina ha rispettato sino ai giorni nostri. Poco prima dell’incontro negli spogliatoi si sta per dar vita ad un evento di portata inestimabile per la storia della causa basca. Franco è deceduto da un anno ma i simboli baschi sono ancora vietati, Josean De La Hoz Uranga detto non a caso, Trotsky, giocatore della Real Sociedad introdusse illegalmente quel giorno, nascosta tra le borse dell’acqua, una bandiera basca all’interno dello stadio.

Fu un gesto enormemente coraggioso vista la mole di polizia che costernava lo stadio e i provvedimenti spietati dei franchisti contro ogni riferimento agli Euskadi. Recatosi nello spogliatoio dell’Athletic, propose il suo intento agli altri giocatori. Quel pomeriggio all’Atocha vi erano 40.000 persone e l’incontro era trasmesso in diretta nazionale, Uranga all’ingresso in campo consegnò la bandiera ai due capitani Inaxio Kortabarria e Josè Angel Iribar, i quali la protesero fino al centro del campo, inconsci del fatto che quel giorno anche la loro vita fu messa in pericolo. Lo stadio venne avvolto da un’ondata di stupore, era dal 1935 infatti che non si vedeva una Ikurriña, ed era sotto gli occhi di tutti, tesa al cielo. E’ un momento epocale per la sorte dei Paesi Baschi, si ebbe la sensazione che quarant’anni di soprusi e censure erano in procinto di avere fine. Un anno dopo venne approvato nuovamente lo Statuto Basco, l’Ikurrina e l’Euskera vennero legalizzate. Iribar, capitano ai tempi dell’Athletic Bilbao e fautore di quel gesto straordinariamente potente dichiarò anni dopo:

“…Noi due, i due capitani delle squadre basche, facemmo quel gesto. Fu la prima apparizione pubblica della bandiera. Pur di averne i colori nei nostri stadi, a volte i tifosi portavano dentro quella italiana. Verde, bianca, rossa. Non ci arrestarono, quel giorno, non ci processarono. Francisco Franco, durante gli anni del regime, aveva pure fatto cambiare nome alla squadra, con lui eravamo diventati l’Atlético. Ci spagnolizzò. Perdemmo 5-0, ma sono stati i cinque gol più belli ch’io abbia mai preso. Al processo di legalizzazione della ikurriña sento di aver contribuito anch’io. Eravamo affamati di libertà. La dittatura era finita”.

Angelo Mattinò